Troppi stimoli poca attenzione: l’era della comunicazione globale

Non voglio dare un giudizio sulla persona, anche se una riflessione su di lui l’ho brevemente fatta, preferisco dare spazio alle sue parole.

La questione, allora, è questa. Come poter creare, all’interno di un mondo collegato a livello globale da velocissimi mezzi di comunicazione, un secondo spazio in cui si possa imparare a vivere il tempo in modo profondo, in armonia con gli altri esseri umani, le altre creature e il mondo in cui tutti viviamo?”

                                         …parole che  mi sembrano più che sensate, a dirle è Jeremy Rifki


Trovo anche sensato dare un seguito all’espressione  sopra di Rifkin riportando il post di Luisa Carrada

Fermate il web: voglio scendere. E’ il titolo dell’articolo di Jeremy Rifkin che l’Espresso pubblica questa settimana.
Un pezzo lucido e semplice, che pone una questione serissima: siamo connessi con tutto e con tutti, abbiamo a disposizione una quantità enorme di informazioni, possiamo fare parecchie cose alla volta, ma paradossalmente tutto questo mette in pericolo alcune nostre capacità cognitive ed emotive proprio ora che ci sarebbero più utili.
Il mondo interconnesso non crea nuovi pericoli solo per i nostri corpi e le nostre esistenze – il terrorismo, i virus biologici e tecnologici, il surriscaldamento terrestre -, ma anche per le nostre menti e le nostre coscienze.
Se possiamo navigare con quattro finestre del browser aperte e contemporaneamente telefonare e ascoltare musica, dove finisce l’attenzione focalizzata ed esclusiva che la soluzione di un problema comunque richiede? E a cosa serve essere connessi con mille persone se la nascita di empatia e consonanza tra persone esige da sempre lo stesso tempo per svilupparsi? Se gli stimoli diventano troppi, dove dirigeremo e fermeremo i nostri occhi?
Una società complessa richiede una capacità di attenzione e riflessione che per svilupparsi hanno bisogno anche del silenzio, di pause, di solitudine, di meditazione.
Siamo ben oltre l’information overload, secondo Rifkin, anzi andiamo verso una società affetta dalla sindrome di mancanza di attenzione.

Luisa Carrada conclude con un domanda “Già, come?”, come uscire da questa questa mancanza di attenzione, la trovo una buona domanda su cui riflettere.

Commenti

  1. La risposta che posso dare io è: diamo a noi stessi l'attenzione che meritiamo e smetteremo di affannarci a volere quella degli altri... Dentro abbiamo così tanti tesori da scoprire :)

    Se non so dove dirigere gli occhi, li chiudo un momento e li dirigo nell'unico punto, silenzioso e intoccabile, che c'è dentro di me. Lì trovo la via :)

    Ciao Carolina! Un abbraccio!

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  2. Bè io direi che è grazie agli altri che ritroviamo noi stessi, grazie all' amore riconosciamo l'odio, grazie alla felicità riconosciamo l'infelicità, ecc... L' importante è sapere che esistono sempre due facce e sta a noi prediligere quella che più ci fa star bene senza per forza isolarci dal mondo....siamo nati per stare in compagnia e soffrire nella solitudine!;-)

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  3. Io concordo assolutamente con Joker.
    Parte tutto da noi. Non si può dare attenzione a nessuno se non ci accorgiamo neanche del tempo che scorre.
    Alle volte corriamo credendo di farlo, ma siamo su un tapis roulant con davanti il quadro di un bel paesaggio. Correre davvero è un'altra cosa.

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